Dott.ssa Silvia Raldi - Mediatore penale e mediatore scolastico [email protected] Per la maggior parte del Novecento in campo scientifico non si è dato peso all’emozione, ritenendola troppo soggettiva e opposta alla ragione, considerata invece la più pregevole capacità dell’uomo. A lungo si è pensato che per comprendere meglio il comportamento umano fosse necessario tralasciare la componente emotiva. Le ricerche degli ultimi decenni hanno invece dimostrato che l’emozione è parte integrante dei processi del ragionamento e delle decisioni: il comportamento e la coscienza di sé sono inevitabilmente legate alle emozioni. Le emozioni sono complessi programmi di azione messi a punto dall’evoluzione e in gran parte automatici e sono il prezioso coronamento nei processi di regolazione della vita. La radice stessa della parola emozione è il verbo latino moveo, «muovere», con l’aggiunta del prefisso «e-» per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire. Ci sono individui che per effetto di un danno neurologico in alcuni aree cerebrali non riescono a provare una gamma di emozioni e contemporaneamente, non riescono a prendere decisioni razionali. Sebbene la loro capacità di affrontare la logica di un problema sia rimasta intatta, in merito a questioni personali e sociali prendono spesso decisioni razionali quasi sempre svantaggiose per sé e per gli altri: in questi casi il delicato meccanismo del ragionamento non è più influenzato dai segnali provenienti dall’apparato neurale sotteso all’emozione. L’assenza di emozioni nuoce alla razionalità tanto quanto il suo eccesso. E’ probabile che l’emozione appoggi il ragionamento specie quando si tratta di questioni personali e sociali che implicano rischi e conflitti. Questi risultati offrono lo spunto per considerare l’emozione come una manifestazione palpabile della logica della sopravvivenza. Alla luce di questi studi, il dibattito sull’intelligenza emotiva iniziato negli anni novanta, risulta essere ancora fecondo e di estrema attualità. Quando Daniel Goleman scrisse il libro “Intelligenza emotiva”, la società americana viveva una profonda crisi dal punto di vista sociale. Nel 2021, sedici anni dopo, possiamo dire che l’avvertimento sui rischi incombenti di una disintegrazione sociale e della relativa fragilità non sia stato ascoltato e la medesima crisi ha investito anche il nostro paese. L’alfabetizzazione emotiva auspicata da Goleman non si è mai davvero diffusa su larga scala. L’ambito scolastico è lo spazio in cui l’insegnamento dell’alfabetizzazione emozionale troverebbe l’applicazione più felice e fruttuosa ma, nonostante l’interesse tra alcuni educatori e l’abbondanza di testi a riguardo, le proposte sono rare e la maggior parte dei docenti, dei dirigenti e dei genitori ne ignora l’esistenza. Al contrario la crisi si è fatta più diffusa e profonda, complice l’emergenza sanitaria che attanaglia il paese da ormai più di un anno e che ha amplificato una crisi economica, sociale ed educativa già esistente. Sebbene i bambini e gli adolescenti abbiano subito con minore incidenza e gravità l’impatto diretto della pandemia, tuttavia risultano tra i più esposti a subirne gli effetti indiretti: essi sono chiamati ad affrontare le conseguenze psicosociali a lungo termine delle misure di contenimento di un’emergenza tutt’ora in corso. La deprivazione sociale ha avuto e avrà effetti a lungo termine sullo sviluppo cerebrale e comportamentale nella crescita dei bambini e degli adolescenti; a ciò si aggiunge l’allarmante crescita del divario e delle disuguaglianze nell’accesso dei più giovani alle opportunità di apprendimento e di socializzazione. Negli ultimi mesi inoltre, sono sempre più frequenti gli episodi di minori vittime di violenza e abusi domestici, nonché di adolescenti sempre più a contatto con la criminalità. Il Rapporto delle Nazioni Unite sull’impatto del Covid-19 sui bambini e sugli adolescenti, pubblicato nell’aprile 2020, ha sottolineato l’importanza di agire con decisione attraverso un piano di interventi psico-educativi orientati al mantenimento dei rapporti sicuri, alla creazione di spazi per l’espressione delle emozioni rispetto alle esperienze vissute, allo sviluppo ed al rafforzamento di nuove e più efficaci strategie di adattamento. Dall’indagine sull’impatto psicologico del lockdown nei minori è emerso che i bambini e gli adolescenti durante l’isolamento a casa dovuto la pandemia hanno sofferto di disturbi del sonno, attacchi d’ansia, aumento dell’irritabilità. La situazione di isolamento ha determinato una condizione di stress con ripercussioni non solo sulla salute fisica ma anche su quella emozionale-psichica, sia dei genitori che dei figli. Lo studio ha inoltre messo in luce che il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali dei bambini e dei ragazzi è statisticamente associato al grado di malessere dei loro genitori. Questo significa che all’aumentare dei sintomi di stress causati dall’emergenza Covid-19 nei genitori (disturbi d’ansia, dell’umore, del sonno, consumo di farmaci ansiolitici), aumentano i disturbi comportamentali e della sfera emotiva nei figli. In questa condizione epocale l’educazione delle nuove generazioni alla competenza emozionale e la valorizzazione dell’intelligenza emotiva risulta ancora più cruciale. Le capacità emozionali e relazionali sono fondamentali per affrontare la lotta della vita nella realtà quotidiana e ancora di più per cercare di uscire dall’emergenza pandemica più forti, sicuri e consapevoli. L’intelligenza emozionale può essere definita come l’insieme delle capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, delle abilità di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza impedisca di pensare e infine delle capacità di essere empatici e di sperare. La vita emotiva può essere gestita con una maggiore o minore abilità e richiede un insieme di competenze specifiche; l’attitudine emozionale può essere considerata una meta abilità in quanto determina quanto riusciamo a servirci delle altre capacità, comprese quelle intellettuali. Molte ricerche dimostrano che le persone competenti sul piano emozionale, cioè quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelle degli altri e di trattarli in modo efficace, si trovano avvantaggiati in tutti i campi della vita. Howard Gardner sostiene che non esista un unico tipo di intelligenza fondamentale per avere successo nella vita, ma che ce ne sia un’ampia gamma. L’intelligenza interpersonale comprende le capacità di distinguere e di rispondere appropriatamente agli stati d’animo, al temperamento, alle motivazioni e ai desideri altrui, mentre l’intelligenza intrapersonale, che è la chiave per accedere alla conoscenza di sé, comprende l’accesso ai propri sentimenti e le capacità di discriminare basarsi su di essi, assumendoli come guida del proprio comportamento. Nessuna intelligenza è più importante di quella interpersonale per questo le intelligenze personali dei bambini dovrebbero essere già addestrate a scuola. L’intelligenza sociale è al tempo stesso distinta dalle capacità scolastiche ed è parte integrante delle doti che consentono alle persone di riuscir bene negli aspetti pratici della vita. Nel definire l’intelligenza emotiva Salovey individua cinque ambiti principali : 1. la conoscenza delle proprie emozioni. Intesa come autoconsapevolezza, cioè la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, viene definita la chiave di volta dell’intelligenza emotiva. 2. Il controllo delle emozioni. Le persone capaci di controllo emotivo riescono a riprendersi molto più velocemente dalle sconfitte e dai rovesci della vita. 3. Motivazione di se stessi. Dominare le emozioni è una dote essenziale per concentrare l’attenzione, trovare motivazione e controllo di sé. La capacità di ritardare la gratificazione e di reprimere gli impulsi è alla base di qualsiasi tipo di realizzazione. 4. Riconoscimento delle emozioni altrui. L’empatia, un’altra capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni è fondamentale nelle relazioni con gli altri. 5. Gestione delle relazioni. L’arte delle relazioni consiste in larga misura nella capacità di dominare le emozioni altrui. Ciascuno di questi ambiti rappresenta un insieme di abitudini e di risposte passibili di miglioramento. Possedere intelligenza emotiva significa saper gestire se stessi in modo appropriato, avere capacità di autocontrollo nel governo della propria vita attraverso un costruttivo dialogo interiore che ha come obiettivo il miglioramento della relazione con se stessi e il miglioramento della relazione con gli altri. Dalla qualità di queste relazioni deriva la nostra capacità di essere felici e di puntare all’eccellenza. Questo è il motivo per cui l’intelligenza emotiva oggi diventa un cavallo di battaglia anche di molti percorsi di formazione che vengono proposti ad aziende e professionisti, affinché le persone, grazie al raggiungimento di un buon livello di autoconsapevolezza, possano migliorare le relazioni tra di loro e puntare al successo anche in ambito professionale. Anche nel campo della mediazione umanistica l’intelligenza emotiva riveste un ruolo fondamentale: la capacità di gestire le proprie emozioni, il riconoscere quelle degli altri e restare sintonizzati su di esse sono competenze imprescindibili per il mediatore. Secondo il modello umanistico la mediazione è un luogo fisico e metafisico in grado di accogliere il disordine, la sofferenza e la separazione; qui anche le emozioni più forti trovano spazio d’espressione. Conoscere i propri meccanismi emotivi mette al riparo da due derive: dal riposizionamento emotivo che avviene quando si prendono decisioni sull’onda di un’emozione attivata da uno stato d’animo precedente, e dal sequestro emozionale dove si compiono comportamenti sconsiderati, che possono avere anche gravi conseguenze, in seguito a una reazione negativa e distruttiva provocata da un’emozione devastante. L’emozione è parte integrante di ogni relazione. Avere la giusta competenza emotiva è fondamentale per il mediatore. È difficile ammettere di non avere un’adeguata alfabetizzazione emozionale, mentre è più facile credere che dall’altra parte non ci sia capacità di ascolto e comprensione. Sarebbe invece opportuno domandarsi quanto queste informazioni di carattere emozionale possano mettere a repentaglio la qualità stessa di una relazione. Avere una buona competenza emozionale consente di gestire meglio le sensazioni che viviamo, permette di raggiungere un buon livello di benessere attraverso un miglior autocontrollo nelle comunicazione con gli altri. Se riusciamo a riconoscere sul piano emozionale i momenti di difficoltà, possiamo gestirli e fare in modo che non trapelino e non prendano il controllo su di noi, anche nel setting di mediazione, dove le emozioni delle due parti possono manifestarsi con tutta la loro forza. Gli studi dimostrano che l’intelligenza emotiva può essere accresciuta, che la pratica delle emozioni aiuta ad acquisire una maggior autoconsapevolezza. Le emozioni, se ben riconosciute e governate, si possono trasformare da elemento di debolezza e fragilità ad un punto di forza per la nostra vita personale e professionale. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Bibliografia:
0 Comments
Leave a Reply. |
AutoreDott.ssa Monica Bonsangue, psicologa, psicoterapeuta e psicotraumatologa, esperta in dinamiche di violenza. Formatore internazionale. Autrice del libro "La violenza psicologica nella coppia. Cosa c'è prima di un femminicidio". Archivi
Gennaio 2022
Categorie |