Nell’articolo precedente ci siamo occupati di presentare la figura del mediatore penale. Oltre all’area giuridica esiste però un ambito in cui le competenze del mediatore penale possono davvero fare la differenza: le scuole. E’ tristemente noto come, negli ultimi anni, il problema del bullismo (e del cyberbullismo) sia diventata una delle emergenze che devono affrontare numerosi istituti. Secondo i dati, il bullismo inizia a manifestarsi come fenomeno strutturato già nella scuola secondaria di primo grado (quelle che chiamavamo “scuole medie”) per poi diventare preponderante nella secondaria di secondo grado (le scuole superiori). Dopo un periodo discretamente positivo rispetto alla crescita, educazione e futuro dei giovani italiani, ci troviamo oggi di fronte alla necessità di sanzionare un grande numero di comportamenti commessi da minori ai danni di altre persone. In alcuni casi gli atti di bullismo sono così gravi da essere denunciati e diventare di competenza del Tribunale per i Minori. Ma in moltissimi altri casi gli atti di bullismo non vengono denunciati. Teatro di numerosi di questi agiti può essere un luogo pubblico (ad esempio la fermata di un autobus, oppure un parco), un luogo privato (come nel caso della banda di giovani ragazzi che entrava nella casa di un anziano disabile per aggredirlo e schernirlo, registrando e mettendo on line il tutto), ma può essere anche la scuola. La scuola è, di fatto, un luogo di apprendimento, ma anche di educazione. Di fronte all’ emergere del fenomeno bullismo e dell’aggravarsi dei comportamenti (furti, vessazioni, percosse, insulti, atti di vandalismo, solo per citarne alcuni) la scuola si è trovata impreparata e, in mancanza di altri strumenti, ha continuato ad educare i già educati ed intervenire col classico sistema punitivo per tutti gli altri. La nota sul registro, la convocazione di fronte al dirigente scolastico del ragazzo e dei genitori, la minaccia o l’attuazione della sospensione, la minaccia del rischio di rendere più difficile la carriera scolastica, sono gli strumenti maggiormente utilizzati nel tentativo di bloccare il bullo. Il fallimento di queste soluzioni (che non fermano il bullo e lasciano impotente ed insoddisfatta la vittima) ha portato molti istituti a chiedere aiuto, finanziando corsi di formazione sul tema per i propri docenti e attività educative di classe, ma anche in questo caso non sono stati rilevati i risultati sperati. Con una Sentenza del Tribunale di Milano del 2013 è stato affermato che l’obbligo di vigilare sugli alunni da parte della scuola viene violato non solo nel caso in cui il docente non sia in grado di spiegare un intervento correttivo e repressivo. Tale obbligo, secondo il Giudice di merito milanese, viene altresì violato anche quando la Scuola non abbia adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di situazioni pericolose. Si è pensato, così, negli ultimi anni, di introdurre e sensibilizzare sul tema della mediazione scolastica, come soluzione ai fenomeni di bullismo, tesa alla promozione di un clima socio-affettivo scolastico. Il mediatore può intervenire, infatti, efficacemente sia a seguito di conflitti già aperti, sia in un’ottica di prevenzione. Dove è stato fatto, è stato per intuizione personale di formatori o docenti, oppure grazie a letture specifiche. E laddove è stata attuata, si sono registrati i risultati migliori. Saper gestire, infatti, correttamente le relazioni con gli altri significa anche avere gli strumenti per affrontare correttamente il conflitto, che non è un evento eccezionale ed accidentale, ma un elemento costitutivo della relazione stessa, dotato di una forte componente emotiva. Ecco che, un mediatore penale bravo ed esperto (oltre agli ambiti predefiniti d’intervento) - utilizzando quelle che sono le competenze professionali e tecniche - potrebbe essere anche chiamato a mettere a disposizione il suo know-how in progetti scolastici, lavorando in équipe con mediatori scolastici, agevolando il dialogo e ricostruendo uno spazio relazionale positivo, dove il bullo possa ragionare sulla sua condotta e la vittima non rimanga imprigionata nel suo ruolo. Si consideri, poi, che nel kit di lavoro del mediatore penale vi è anche l’empatia. Nel caso in esame, accrescere o far sviluppare empatia negli studenti significa far in modo che questi possano rendersi conto, per esempio, della sofferenza che comporta una condizione di esclusione o di attacco da parte dei compagni. I ragazzi possono essere aiutati, infatti, attraverso attività di role playing (caratterizzanti il percorso di formazione in mediazione penale) a entrare nel vissuto e nella condizione difficile della vittima. Ai bambini danesi si insegna da molto tempo l’empatia. Durante la “Klaassens tid”, gli alunni sperimentano questa “disciplina”, entrata nel loro curriculum nazionale nel 1990, mangiando un pezzo di torta preparata con le loro piccole manine e trattando ed ascoltando vicendevolmente i loro problemi. Da soli, infatti, non riuscirebbero ad affrontare e gestire con chiarezza e lucidità le difficoltà. Si è constato che i bambini non hanno alcun timore di essere presi in giro, al contrario in loro aumenta il coraggio per il solo fatto di essere ascoltati, imparando quanto sia importante il rispetto reciproco. Anche in Italia, però, sono in aumento le realtà aperte alla mediazione scolastica e che stanno portando avanti progetti importanti di mediazione anti-bullismo, che coinvolgono non solamente l’Istituto, ma anche le famiglie e la comunità tutta, anche se la nostra vecchia cultura (soprattutto per quanto riguarda le generazioni più datate di insegnanti, ormai prossime al pensionamento) è ancora permeata dall’idea che la sanzione e la punizione siano gli strumenti elettivi di correzione di comportamenti devianti. Gli interventi riparatori, propri dello strumento di mediazione penale, in tali contesti, oltre ad offrire una solida conoscenza di come gestire in maniera funzionale il bullismo o altre liti (facilitando la comprensione dell’altro diverso da sé), permetterebbero, allo stesso tempo, di verificare la creazione di gruppi di “giovani mediatori” fra gli studenti, che potrebbero diventare dei veri punti di riferimento per tutti: direttore e/o preside, insegnanti, genitori e alunni stessi. In questo modo ne gioverebbe l’Istituto scolastico nel suo complesso, migliorando la comunicazione interna ed esterna di tutti i membri del sistema. Alla luce delle considerazioni fatte si comprende, dunque, come sia importante che ci si attivi compiendo interventi mirati sugli alunni, creando percorsi di educazione alla legalità e di mediazione scolastica, incontri dove anche il mediatore penale possa aiutare ad attivare l’ascolto attivo e l’empatia, volti alla responsabilizzazione e che consentano a tutti gli studenti di avere buone relazioni per il presente e per il futuro di buoni uomini e professionisti del domani. Se sei interessato alla formazione come mediatore penale e vuoi conoscere gli ambiti in cui può lavorare, ti informiamo che sono aperte le iscrizioni al I Master di Alta formazione in Mediazione dei Conflitti e Mediazione Penale, organizzato da AIMEPE Lombardia. Se hai gradito questo articolo, aiutaci a condividerlo! DISCLAIMER
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AutoreDott.ssa Monica Bonsangue, psicologa, psicoterapeuta e psicotraumatologa, esperta in dinamiche di violenza. Formatore internazionale. Autrice del libro "La violenza psicologica nella coppia. Cosa c'è prima di un femminicidio". Archivi
Gennaio 2022
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