Edel Margherita Beckman – criminologa clinica [email protected] Il confine che separa la vita reale da quella virtuale non sempre è netto: basti pensare all'uso della tecnologia e dei dispositivi elettronici che ad oggi fanno parte non solo della quotidianità del singolo ma sono diventati sempre più un terreno fertile per la costruzione di nuove relazioni, amorose e non e costituiscono il principale canale comunicativo nonché il più veloce: nell’ultimo decennio infatti si è infatti assistito ad un incremento sia dell’uso di Internet sia dei Social Network (Facebook, Instagram, WhatsApp etc), incremento che è stato percepito soprattutto con l’avvento della pandemia iniziata nel 2020. Questo approccio alla tecnologia ha portato anche alla normalizzazione della condivisione di dettagli sempre più intimi della propria vita, senza considerare il contrappeso della condivisione con un bacino di utenti non sempre conosciuto. È quindi chiaro che se ciò che accade on-line ha conseguenze anche off-line per gli individui, non si sta più parlando di due mondi distinti e indipendenti, ma di un unico ambiente. Tra i diversi reati che possono essere commessi on-line si annovera anche la Non-Consensual Pornography (o Pornografia Non-Consensuale), una delle peggiori forme di sfruttamento sessuale e violazione della privacy (nonché dell’intimità) perpetrata in rete, spesso erroneamente definito Revenge Porn (Porno-vendetta), dove invece la finalità vendicativa può essere solo una delle ragioni ma non l’unica. Il termine Non-Consensual Pornography, che permette includere tutte le casistiche, viene utilizzato da una parte della comunità scientifica per indicare l’illecita condivisione di immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati, senza il consenso della persona rappresentata, al fine di arrecare un danno alla vittima. Il materiale può essere stato realizzato con o senza il consenso della vittima (in questa seconda ipotesi si pensi alle registrazioni di una violenza sessuale o all’accesso abusivo a sistemi informatici) ma a prescindere dalla volontà o meno del consenso alla realizzazione non c’è mai (e non può essere data per scontata) la volontà alla condivisione. Quando si diventa vittima di Non-Consensual Pornography, oltre alla condivisione virale del materiale si diviene tendenzialmente vittime anche di altri reati, quali gli attacchi d’odio in rete e i molti casi di Stalking: difatti, in oltre la metà dei casi insieme al materiale vengono anche condivisi le informazioni private della vittima, quali i dati anagrafici e i link ai Social Network. Nel 2019 è stata introdotta la Legge n. 69/2019, emanata il 19 luglio e denominata “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, che mira a proteggere le vittime di violenza domestica e di genere, perpetrata anche attraverso dispositivi elettronici. Tra le novità si evidenzia l’introduzione dell'Articolo 612-ter del Codice Penale, che punisce la condotta appena analizzata, denominato “Distribuzione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Ai sensi dell’Articolo 612-ter è punita la condivisione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000; i commi 3 e 4 prevedono due ipotesi aggravanti. (1) Nonostante la crescita esponenziale che il fenomeno sta avendo (2), sia nel panorama italiano che in quello europeo si parla ancora troppo poco non solo del reato ma soprattutto delle conseguenze. Le ragioni possono essere molteplici, tra le quali il riconoscimento della fattispecie delittuosa solo con la legge 69/2019 e il trovarsi in una società nel quale ci sono ancora oggi dei modelli culturali profondamente distorti che portano a reazioni sociali quali la colpevolizzazione della vittima anziché il suo riconoscimento e conseguente tutela. Il Victim Blaming può essere definito come la colpevolizzazione della vittima appunto, che porta ad una seconda forma di vittimizzazione: prima si diventa vittima del carnefice, poi della società. Spesso poi, se si tratta di donna, si tende ad attribuire una parte della colpa dell’accaduto alla stessa. Questo tipo di atteggiamento emerge ad esempio dai commenti che talvolta accompagnano gli articoli di giornale che raccontano un episodio di violenza (sessuale, piuttosto che domestica) come a voler sottendere il “se l’è cercata”. E la stessa tipologia di atteggiamento giudicante si può certamente riscontrare nei reati on-line, quali la Non- Consensual Pornography in tutte le sue sfumature. In questa seconda ipotesi si ritiene che buona parte delle ragioni possano essere spiegata con la cd. distanza sociale che la rete crea: difatti, trattandosi di reati perpetrati in rete, la distanza tra la vittima e il carnefice fa si che la prima non venga realmente percepita in quanto tale. Qual è allora il ruolo della mediazione penale al perpetrarsi di queste reati e del mediatore, non solo a livello giuridico ma anche sociale? È doverosa innanzitutto la considerazione che da molti anni ormai è in corso un accesso dibattito sui problemi di cui soffre il sistema sanzionatorio italiano e di come le risposte da parte dello Stato di fronte alla commissione dei reati siano spesso carenti ed insufficienti. Uno dei problemi maggiori è la scarsa rilevanza che la vittima assume all’interno del processo penale: da un lato infatti, la burocrazia e il non coordinamento portano ad un trascinamento di situazioni e realtà che andrebbero gestiti in tempi molto più brevi; dall’altro lato, la vittima spesso rischia di subire una seconda vittimizzazione da parte della stessa autorità che dovrebbe tutelarla, per mancanza di conoscenza del fenomeno come nel caso in esame e coordinazione interna quando è richiesto un approccio multidisciplinare (e.g. forze dell’ordine, avvocati, Pubblico Ministero, psicologo etc. ). La Giustizia Riparativa si porrebbe dunque quale strumento di riconciliazione tra autori di reato, vittime e società, in cui le parti sono coinvolte in prima persona e l’obiettivo del mediatore sarà quello di trasformare la relazione “tra antagonisti” in relazione “tra persone che si assumano responsabilità”. Da un punto di vista nazionale in Italia vige però il principio della obbligatorietà dell'azione penale, pertanto nessuna politica di sviluppo delle pratiche di mediazione può rispondere all'esigenza primaria di riduzione e snellimento delle procedure processuali: tuttavia ha in sé la possibilità di ridisegnare i confini dell'intervento penale (3), superando le dinamiche processuali nelle quali c’è una parte vincente e una perdente: qui ogni parte ha la possibilità di “vincere” qualcosa. Il percorso di mediazione difatti, coinvolgendo il reo la vittima e la comunità, tende a dare una risposta al reato attraverso la ricerca di possibili soluzioni agli effetti negativi e devastanti generati dall’azione criminosa e al concreto impegno di porvi rimedio: essa si presenta come una possibilità di scelta. Suo obiettivo non è la punizione del reo bensì la rimozione delle conseguenze del reato attraverso l’attività riparatrice da parte dello stesso: vittima e reo con l’aiuto dei mediatori diventano veri protagonisti del processo (4) . Nella mediazione penale, dunque, la vittima ha la possibilità di esprimere il proprio dolore, e far emergere i propri bisogni e mentre il reo avrà la possibilità di adoperarsi in favore della vittima rimediando al suo crimine. La paura piuttosto che il disagio o il rancore verso chi ha operato ai suoi danni se non sarà né potrà essere gestita dalle istituzioni, al contrario, avrà la possibilità di essere gestita attraverso il canale comunicativo offerto dalla mediazione. In conclusione, quando un reato viene perpetrato in rete, lo strumento della mediazione penale potrebbe quindi svolgere un ruolo fondamentale, perseguendo un obiettivo più grande di quello proprio della Giustizia Riparativa, ovverosia il dimostrare che il virtuale va trattato come il reale e che quello che accade in rete si traduce, all’atto pratico, in due esseri umani difronte al mediatore. Attraverso un percorso di mediazione inoltre si fa si che le due parti non rimangano dei semplici confliggenti lasciando l’etichetta di vittima o carnefice: l’obiettivo sarà allora quello di riuscire a riporre la maschera e vedere nell’altro un essere umano, con uno sguardo che, a causa delle nuove tecnologie, diventa sempre più difficile avere. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Note: (1) “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d'ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio”. (2) https://www.permessonegato.it/doc/PermessoNegato_StateofRevenge_202011.pdf (3) Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla Giustizia Riparativa in materia Penale e La Raccomandazione n° (99) 19 sulla mediazione in materia Penale (4) Per approfondimenti si consiglia la lettura di CERETTI, NATALI, Cosmologie violente, Percorsi di vite criminali, Raffaello Cortina Editore, 2009 ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Bibliografia e Sitografia
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AutoreDott.ssa Monica Bonsangue, psicologa, psicoterapeuta e psicotraumatologa, esperta in dinamiche di violenza. Formatore internazionale. Autrice del libro "La violenza psicologica nella coppia. Cosa c'è prima di un femminicidio". Archivi
Gennaio 2022
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