La Giuditta di Artemisia Gentileschi non è la fanciulla candida rappresentata dagli altri artisti, non figura come presenza simbolica della virtù che trionfa sul male. La Giuditta della Gentileschi è una donna energica che adopera tutta la sua forza fisica per uccidere Oloferne, prendendone contemporaneamente le distanze dal corpo per evitare di farsi imbrattare dal sangue nemico. Etimologicamente il termine vittima deriverebbe dalla convergenza di due verbi latini: vincīre e vincere. Il primo che significa legare, rimandando agli animali che venivano offerti in sacrificio alla divinità a scopo propiziatorio. Il secondo verbo, invece, designa l’azione del vincitore che si impone con violenza e dominio su altri soggetti, destinati a soccombere. Una terza vecchia ipotesi - che oggi trova l’adesione del Corssen - riporta alla radice di vigere, cioè essere forte, essere robusto, perché la vittima era scelta fra i capi migliori. Quest’ultima interpretazione etimologica offrirebbe una maggior aderenza alla realtà, avvallando quanto riportato dagli studi vittimologici, in base ai quali vi è un legame tra vittima e autore di reato, ove luce e ombra concorrono alla resa drammatica, come nel dipinto sopra della pittrice. Nello specifico, per taluni reati è difficile individuare con precisione i giochi di dominio, individuare chi sia la parte debole e quella forte, indipendentemente dall’evento. Tali teorie vittimologiche, acquisendo nel tempo una propria autonomia scientifica, hanno permesso di guardare in maniera differente il soggetto passivo del reato. In tal senso la vittima, oggi, non è più semplicemente titolare di diritti, ma è anche e soprattutto titolare di bisogni, originati dalla nuova condizione. La vittimologia individua come bisogno primario delle vittime quello di essere ascoltate. Ascoltate sulla relazione con il proprio carnefice per dare un senso a quello che è avvenuto; ascoltate su quello che gli studiosi in materia definiscono come “la perdita del prima”, quel prima che il reato ha disperso; ascoltate per rielaborare la realtà che le circonda ed in cui non riescono più a ritrovare se stesse. Tale bisogno, infatti, è strettamente connesso alla ridefinizione del sé violato e alla propria identità ferita. La vittima chiede di sentirsi nuovamente inclusa, di partecipare, in maniera rinnovata, al processo di integrazione sociale senza paura. E’ proprio sull’ascolto che si incentra tutta l’attività dei Centri di Victim Support, o centri a sostegno delle vittime. Queste strutture, presenti ormai da tempo in molte realtà europee e nei Paesi anglosassoni, sono richiamate in diversi atti internazionali che ne richiedono espressamente l’istituzione. Tali centri offrono tutela, consulenza e trattamento alle vittime, indipendentemente dal tipo di reato, prevedendo servizi differenziati. I centri si avvalgono del lavoro di professionisti esperti e competenti, adeguatamente formati ed aggiornati per rispondere alle esigenze di un’utenza molto delicata. Quest’ultimi lavorano, spesso, in équipe, collaborando con organismi pubblici ed altre agenzie presenti sul territorio (quali la Procura, le forze dell’ordine, i servizi sociali, le associazioni di categoria, altre associazioni che operano a tutela delle vittime del crimine). L’obiettivo è quello di aiutare la vittima a superare il trauma subito, acquisire sicurezza ed avere protezione, informarla circa i suoi diritti, oltre che fornirle, se necessario, beni di prima necessità. Lo strumento utilizzato è quello dell’ascolto attivo, empatico dei fatti narrati dalla vittima. Pertanto l’operatore del Centro deve essere competente nell’ascoltare attentamente la persona che ha davanti. Ecco perché chi decide di formarsi alla mediazione penale può scegliere di impiegarsi alternativamente nei centri di sostegno alle vittime. AIMePe Lombardia ha previsto, all’interno del percorso di formazione alla mediazione penale 2020, uno stage interamente dedicato alla creazione e allo sviluppo di un Centro di Victim Support. In queste strutture la vittima viene sempre informata della possibilità di iniziare un percorso di mediazione con l'autore di reato, insieme a mediatori professionisti esperti. E’ importante, però, che la scelta rimanga libera e consapevole e non vi sia imposizione alcuna, perché altrimenti potrebbe innescarsi un processo di vittimizzazione secondaria. All’estero i centri di sostegno alle vittime operano di concerto con i centri di mediazione penale presenti sul territorio. Questa sinergia agevola certamente i mediatori penali nel reperimento del contatto della vittima, in quanto possono rifarsi ai database dei centri di victim support. E’ doveroso, comunque, sottolineare la differenza tra le due realtà e la preziosità dell’esistenza di una per l’altra e viceversa. Se infatti i centri di sostegno alle vittime si concentrano sul passato ed il presente della vittima, i centri di mediazione penale guidano quest’ultima verso una visione nuova ed importante: una visione futuro- centrica . Se sei interessato a diventare Mediatore Penale, puoi iscriverti al I Corso di Alta Formazione in mediazione dei conflitti e Mediazione Penale organizzato da AIMePe Lombardia nella sede di Milano. Puoi iniziare ad avere alcune informazioni cliccando QUI oppure scrivendoci ad [email protected]. AUTORE Dott.ssa Anastasia Montefusco, mediatore dei conflitti, laureata in Giurisprudenza alla Bocconi (MI), master conseguito presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali “E. Redenti”, formazione in Negoziazione presso la Corte Arbitrale Europea. Formatore AIMePe. Se hai gradito questo articolo, aiutaci a condividerlo! DISCLAIMER
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AutoreDott.ssa Monica Bonsangue, psicologa, psicoterapeuta e psicotraumatologa, esperta in dinamiche di violenza. Formatore internazionale. Autrice del libro "La violenza psicologica nella coppia. Cosa c'è prima di un femminicidio". Archivi
Gennaio 2022
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